Farm Cultural Park di Favara e Luca Vullo per il progetto d’arte "Abbiamo tutto - Manca il resto!"
“Abbiamo tutto – Manca il resto!” la prima edizione di un evento quadriennale d’arte dedicato alla Sicilia e al “suo tutto” e “a ciò che manca”, una mostra che vedrà anche il territorio e la scena artistica locale “con occhi esterni” attraverso vari padiglioni.
Grazie al “Farm Cultural Park” di Favara, un progetto di riqualificazione per rinnovare le strutture esistenti nato nel 2010 per volontà del notaio Andrea Bartoli e l’avvocato Florinda Saieva, una coppia di collezionisti d’arte con una grande passione per la cultura contemporanea e il sogno di migliorare piccole porzioni del mondo.
Hanno deciso di dedicare tutta la loro vita a un grande processo di trasformazione creando uno dei centri culturali indipendenti più influenti del panorama culturale contemporaneo e uno dei progetti più vivaci di ripensamento e rinascita di città morenti.
“Abbiamo Tutto Manca il Resto” è una mostra intergenerazionale, inclusiva, concepita per esplorare le contraddizioni di quest’ Isola e diventare un faro di cambiamento, dove idee e visioni si intrecciano per creare una Sicilia più equa, inclusiva e prospera. Artisti audaci, emergenti ed affermati, coraggiosi e rivoluzionari, racconteranno le storie che la nostra terra si merita, esplorando il suo splendore e le sue sfide, denunciando quello che non funziona e ispirando una visione innovativa per il futuro.
Qui si inserisce anche Luca Vullo che per porterà il suo contributo artistico presentando “Io non mi sento siciliano, ma per fortuna o purtroppo lo sono!”
“In qualità di “diversamente presente” in Sicilia, che pur vivendo fuori dalla terra natia da diversi anni non ha mai smesso di promuoverne all’estero la sua bellezza, parlerà senza filtri ai visitatori confessando le sue contrastanti emozioni di amore e odio, di attrazione e repulsione, di gratitudine e condanna che pervadono da sempre la mia vita, quando penso alla Sicilia.
Prendendo liberamente spunto da Gaber nasce “Io non mi sento siciliano, ma per fortuna o purtroppo lo sono!” dove “l’essere o non essere siciliano” diventa quasi un dubbio amletico”.
La foto che ha scelto per presentare questo contributo è “Facci tagghiata”.
La comunicazione non verbale dei siciliani è un codice linguistico molto complesso che usa i segni secondo specifiche regole operative che costituiscono una vera e propria grammatica. Esistono quindi gesti che corrispondono esattamente agli aggettivi qualificativi e determinativi. Quando ci si vuole riferire ad una persona particolarmente scaltra e intelligente ma non si ha voglia di proferir parola, sarà sufficiente utilizzare il pollice come se fosse la punta di un coltello per tagliare trasversalmente una guancia dall’alto verso il basso mentre le altre dita sono chiuse a pugno.
Un colpo secco che solitamente viene accompagnato dall’inarcamento di uno dei sopraccigli mentre gli occhi si dilatano per esprimere ancora più chiaramente che stiamo parlando proprio di una “Facci tagghiata” e cioè di un dritto che la sa lunga, che se la sa cavare in ogni situazione e ha letteralmente la faccia segnata dalle esperienze della vita.
Spesso questo gesto viene utilizzato come un complimento per descrivere i bambini quando sono ancora piccoli ma particolarmente svegli e vivaci oppure come avvertimento protettivo rivolto ad un nostro conoscente che deve incontrare una persona molto furba e che quindi potrebbe trovarsi in pericolo.
Da non confondere però con il detto “Ti tagghiu a facci” che è invece una minaccia rivolta all’altro di tagliare la sua faccia e quindi di fargli sparire il sorriso per sempre e neanche con “Tagliatina di faccia” che si riferisce ad un’offesa assai grave e irreparabile ricevuta.
È interessante notare come i detti e i segni siciliani hanno frequentemente come protagonista il nostro viso, una parte del corpo fondamentale per la ricca gestualità di questo popolo.
Vullo, nisseno che è stato emigrato a Londra per quasi 8 anni, con i suoi progetti ha promosso all’estero le eccellenze “made in Italy” e incontrato le tante comunità italiane che ha raccontato con i suoi documentari socio-antropologici, in prevalenza sulla Sicilia e girati nell’isola (Cumu veni si cunta, Un caruso senza nome, Dallo zolfo al carbone, La voce del corpo, Ccà semu, Dallas in Prizzi) a testimonianza del suo legame con questa terra.
“Abbiamo tutto, manca il resto!” vuole diventare una piattaforma per sollevare domande e mettere in discussione il potere regionale, esplorando criticamente i problemi che affliggono la Sicilia ma anche per accogliere proposte e soluzioni innovative per lo sviluppo sostenibile.
Coltiviamo insieme il Potenziale Siciliano: Denunciamo, Combattiamo, Trasformiamo con l’Arte.
Poteva non condividere questo nobile intento?
( foto di Cinzia Capparelli).